GPIC, valori radicati nel vangelo
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GPIC, valori radicati nel vangelo
GIUSTIZIA, PACE E INTEGRITÀ DEL CREATO PROGETTO DI VITA E MISSIONE IN CHIAVE FRANCESCANA IV Congresso auropeo degli Animatori GPIC (Polonia, Sant'Anna, 29 aprile 2010) Fr. José Rodríguez Carballo, ofm Ministro general OFM Il mondo è la casa ove siamo chiamati a vivere una profonda comunione fraterna, sia con gli uomini e le donne del nostro tempo, sia con la stessa creazione. È indubbiamente una casa da curare e costruire scrupolosamente, in modo tale che si trasformi in focolare della fraternità universale dove tutti gli uomini e le donne abbiano uno spazio e dove tra l'uomo e il creato vi siano relazioni fraterne, caratterizzate da un profondo rispetto. Il Capitolo generale del 2003, collocando "la predicazione della riconciliazione, della pace e della giustizia e il rispetto verso la creazione" tra gli elementi fondamentali della nostra forma di vita, insieme allo spirito di orazione e di devozione, alla comunione di vita in fraternità, alla penitenza e alla minorità, e all'annuncio del vangelo [cf. Costituzioni Generali OFM (= CCGG) 1,2] ha fatto un passo avanti importante nella considerazione dei valori di giustizia, pace e integrità del creato (= GPIC) come valori che formano parte di ciò che potremmo ben chiamare il nostro DNA. Nel mio intervento in questo IV Congresso europeo degli Animatori GPIC vorrei sottolineare alcune convinzioni personali e alcuni principi che possono orientarci nel vivere i valori che sono alla base del nostro impegno per GPIC. GPIC, valori radicati nel vangelo Vorrei innanzitutto richiamare quanto si afferma nel documento finale del Capitolo Generale 2009, Portatori del dono del Vangelo (= PdV). Leggiamo testualmente: I valori della giustizia, della pace e dell’integrità del creato, che sono valori radicati nel Vangelo, devono rendersi naturalmente presenti nella nostra vita di orazione e devozione, come pure nella vita quotidiana e nell’esercizio dei nostri ministeri (PdV 30)1. In questo testo appaiono due affermazioni che mi pare importante sottolineare: i valori GPIC affondano le proprie radici nel Vangelo e proprio per questo si devono vivere non come qualcosa di straordinario ma si devono "ritrovare nella nostra pratica quotidiana" nel contesto della "lettura orante della Parola", cosicché essi siano vissuti come qualcosa di naturale, come parte integrante della nostra spiritualità, se vogliamo che siano alimento vero della nostra vita e della nostra missione (PdV 30). Quanto detto mi spinge ad affermare un secondo principio/convinzione: questi sono valori che devono far parte della formazione permanente e della formazione iniziale. La nostra Ratio Formationis Franciscanae (= RFF) è una dimostrazione importante di tale convinzione ed è profondamente coerente a questo principio nel suoi costanti riferimenti alla necessità di formare a 1 Le parti sottolineate sono mie. tali valori. Personalmente sono assolutamente convinto che i valori GPIC possano entrare nella nostra vita e nella nostra missione solamente attraverso la formazione, con una particolare avvertenza: questi valori non si possono ridurre e semplici dichiarazioni di principio, né si possono proporre in maniera ideologica o a secondo delle mode dominanti. Non bastano corsi ricchi di buoni contenuti, essi devono essere vissuti come esigenze della nostra vita e della nostra missione. Un terzo principio/convinzione è che i valori GPIC sono strettamente connessi tra loro e animati da un atteggiamento di minorità, come manifestazione del nostro vivere sine proprio. Non si può vivere pienamente un aspetto senza vivere allo stesso modo anche gli altri, e non si può essere artefici di giustizia e pace o avere cura della creazione senza sentirsi e agire come minori. Tale esigenza comporta l'abbandono di ogni pretesa di dominio o di prevaricazione sugli altri e sulla creazione, senza che ciò significhi essere passivi verso tutto ciò che va contro i suddetti valori. Le nostre Costituzioni generali sono chiare al riguardo e ci chiedono di vivere in questo mondo come fautori della giustizia, araldi e operatori di pace, vincendo il male ed operando il bene (CCGG 68,1) L'esperienza e il Magistero di questi ultimi anni mostrano che, nella maggior parte dei casi, il motivo dell'ingiustizia e della violenza risiede nella povertà, a sua volta molto spesso causata dall'ingiustizia. È una sorta di circolo vizioso: la povertà genera violenza e la mancanza di giustizia provoca la povertà e la violenza. Ecco perché per combatterle è necessario lottare contro l'ingiustizia e viceversa. Come dice il salmista "giustizia e pace di baceranno" (Sal 85,11b). Promovendo la pace, i frati di ogni tempo si sono opposti al male della guerra e delle diverse forme di sfruttamento dell'uomo e della natura da parte dell'uomo stesso, così come si sono opposti all'emarginazione, alla distruzione e all'oppressione (cf. CCGG 96,2) e hanno promosso la riconciliazione (cf. CCGG 70). In piena continuità con tale modo di agire, si deve anche oggi operare in favore di GPIC. Stabiliti questi principi, passo a sottolineare alcuni aspetti di GPIC a partire dalla visione francescana. E lo farò tenendo presenti il nostro corpo legislativo e il documento finale del Capitolo di Pentecoste 2009, Portatori del dono del vangelo. Araldi della pace in modo nonviolento Noi frati siamo chiamati ad opporci alla violenza con la nonviolenza, usando i mezzi a disposizione dei più deboli. Lo dicono chiaramente le nostre Costituzioni generali là dove affermano: "Nel difendere i diritti degli oppressi, i frati, rinunciando ad ogni azione violenta, ricorrano ai mezzi che d’altra parte sono a disposizione anche dei più deboli". (CCGG 69,1). Per parte sua il Capitolo generale 2009 invita tutte le Entità dell'Ordine a "promuovere la non-violenza attiva nella nostra vita, con un’attenzione particolare per la soluzione dei conflitti" (Mandato capitolare 43, c) Che cosa intendiamo per nonviolenza? Che cosa vogliamo rifiutare quando parliamo di nonviolenza? La nonviolenza non è rassegnazione di fronte al male, ma una non-collaborazione attiva con il male (ahimsa di Gandhi), che pone il suo aspetto progettuale positivo nella forza della verità (satiagraha di Gandhi). I satiagrahi di Gandhi sono l'attitudine a fare la verità e a confessare la verità e non solo a proclamarla. Nella tradizione cristiana sono i testimoni, i martiri, tutti coloro che pagano con la vita la testimonianza della verità. Il primo è stato Gesù stesso. La nonviolenza ha un prezzo, incluso quello della propria vita. Possiamo quindi dire che la nonviolenza è una non-collaborazione con la violenza e con progetti di morte, e che, con la forza della verità, crea buoni progetti. La nonviolenza è al tempo stesso resistenza e progetto, due aspetti contemplati dalla beatitudine che dichiara felici "i costruttori di pace" e che, senza forzare il testo biblico, si potrebbe tradurre: "beati coloro che costruiscono la pace, facendo la verità". Non c'è spazio per la passività, si tratta di agire, denunciando ogni guerra o corsa agli armamenti, come una grave offesa ai poveri. Non si risparmiano le forze per la costruzione del regno (cf. CCGG 69,2). La nonviolenza è anche attenzione ad ogni forma di vita, umana e del creato, a cominciare dai presenti, ma anche pensando a coloro che verranno o che non verranno perché seriamente minacciati. Ciò esige un attento ascolto della debole voce di coloro che non hanno voce, compreso il creato, prendendo sul serio la loro condizione e la loro situazione di minacciati. Tale premurosa attenzione suppone una reale conoscenza delle minacce, e richiede formazione e informazione, perché solo così si potrà dire una parola autorevole in difesa dell'umanità e della creazione. La nonviolenza è la disponibilità a cambiare se stessi mentre si opera per cambiare la società. In questo senso, nonviolenza significa superare il complesso della primogenitura di Caino, che rivendica per sé − come tentarono di fare anche i discepoli di Gesù − un pericoloso essere il primo, forse l'unico, senza tener conto degli altri e senza considerare che la creazione è stata affidata per essere curata e non per essere usata a proprio capriccio. Tale complesso della primogenitura, riferito a se stessi si esprime con l'orgoglio; riferito agli altri, con la superiorità, riferito alla natura con la sottomissione disordinata e arbitraria; riferito ai popoli con il dominio. È un complesso che mette a rischio la natura e l'umanità e non porta alla pace. La nonviolenza significa, infine, recuperare la consapevolezza della fraternità universale, preoccupandosi che a livello esistenziale si faccia giustizia a coloro che sono trattati ingiustamente e che sia rispettata la creazione secondo il piano del Creatore, in modo che essa sia al servizio dell'uomo e non gli si rivolti contro a causa della mancanza di rispetto che subisce dall'uomo stesso. Opzione per i poveri La riflessione sul voto di povertà e le esigenze della nuova evangelizzazione hanno portato la vita consacrata, e con essa la vita francescana, a prendere coscienza della necessità di una opzione privilegiata per i poveri. Tale opzione, indicata già dal Vaticano II, è stata poco a poco assunta da molte chiese locali e dalla vita consacrata in generale. Le assemblee dei vescovi di Medellin (1968) e di Puebla (1979) l'hanno proclamata come prioritaria per la Chiesa. Nel nostro caso, si tratta di qualcosa che si viene ripetendo dal Vaticano II, che trova la sua collocazione nelle Costituzione generali rinnovate e che è stata apertamente proclamata dal Consiglio plenario di Bahia del 1985. In perfetta continuità con la riflessione precedente si situano alcune affermazioni del documento "Portatori del dono del vangelo", quali: "Non possiamo voltare le spalle al divenire del mondo… Non si può elaborare un progetto fraterno di vita e missione evangelizzatrice senza coscienza sociale" (PdV 29). "La spiritualità che alimenta la nostra vita e missione evangelizzatrice non è mai aliena dalla vita dei nostri popoli e da quanto la riguarda" (PdV 30). In questo contesto va anche posto ciò che chiede il Capitolo generale 2009 in uno dei mandati, quello che ci invita a "dedicare speciale attenzione agli esclusi delle nostre società […], impegnandosi particolarmente per la difesa e promozione dei diritti umani" (Mandato capitolare 43, d). Non possiamo chiudere gli occhi davanti alla realtà della povertà che affligge milioni di uomini. Ciò comporta conoscere la verità della povertà, intesa in tutte le sue dimensioni: la povertà, la miseria, l'oppressione, le vittime, l'esclusione, con la conseguente serie di violenza e disgregazione; comporta conoscere il mistero della povertà. Quando ci immergiamo nel mondo della povertà (suburbana o rurale) non tutto è spiegabile e descrivibile. Troviamo la cultura della povertà, i valori vissuti dai poveri − capacità di resistere, solidarietà, speranza e celebrazione (grandissimo mistero che sempre unisce la speranza e l'allegria dei poveri) − che è l'esperienza del vangelo e il vissuto di Dio tra i poveri, e tanti altri misteri che circondano il mondo dei poveri e che non riusciremo mai a comprendere pienamente. Dopo aver conosciuto la realtà della povertà in tutta la sua estensione e il suo mistero, è necessaria una profonda riflessione teologica sulla povertà come peccato e soprattutto sulla struttura sociale della povertà come peccato sociale, del quale siamo tutti in qualche modo personalmente responsabili. Parlando di peccato, desidero fare una notazione che mi pare importante. In questo contesto intendo il peccato anzitutto come rifiuto radicale dell'amore di Dio, del suo regno e della sua grazia, dentro la nostra storia e non tanto come trasgressione della legge. La risposta cristiana, infatti, a volte ci può portare a trasgredire la legge, anche costituzionale (cf. il rispetto della vita in tutte le sue dimensioni). Il peccato di cui parliamo è fondamentalmente il peccato sociale (che non esclude la resposabilità individuale) perché è il rifiuto collettivo e strutturale dell'amore di Dio e del regno di Dio. La povertà, soprattutto se estrema e conduce alla esclusione totale dal sistema, diventa l'espressione visibile del rifiuto di Dio. Possiamo quindi dire che l'opzione per i poveri non è una scelta contro qualcuno, ma contro la povertà che contraddice il piano di Dio. E possiamo egualmente dire che scegliere i poveri è scegliere il Dio amore, il Dio famiglia e il regno di Dio, che è giustizia e pace. Perciò, per noi, l'opzione per i poveri è sinonimo di conversione al Dio amore e ai valori del regno. D'altra parte, se è vero che si tratta di una opzione non esclusiva e ancor meno escludente, dal momento che tutti sono destinatari dell'evangelizzazione, certamente essa deve partire dai poveri, "nostri maestri" (CCGG 93,1), nei quali l'immagine di Dio è vituperata (cf. Documento di Puebla 1142). Questo cambiamento di prospettiva è un'altra dimensione importante della conversione pastorale a cui siamo chiamati. Un altro aspetto importante riguardo l'opzione per i poveri è che, per noi francescani, essa non è tanto una scelta sociale (anche se ha ripercussioni sociali) ma una scelta cristologica, come affermato dal documento finale del Capitolo generale 2009, Portatori del dono del vangelo: "In forza della sua incarnazione, il Verbo si pone dal lato della periferia, della vulnerabilità, della povertà" (PdV 23). Non è forse questa una attualizzazione dell'abbraccio di Francesco di Cristo povero e crocifisso nell'abbraccio del lebbroso? In questa scelta − che non è un optional per quanti hanno promesso di seguire da vicino Gesù Cristo (cf. CCGG 5,2) − dobbiamo distinguere l'inserimento tra i poveri dalla opzione per i poveri. Non tutti si sentiranno chiamati a vivere in luoghi marginali, ad abitare alla frontiera o in chiostri disumani (cf. PdV 22ss, Il Signore vi dia pace, 37), ma tutti dobbiamo sentirci chiamati a stare dalla parte dei poveri, il che suppone, tra l'altro, lo sforzo di vedere la realtà a partire dai poveri per optare in loro favore (CCGG 97,1) Ciò non significa che non si debba tener conto del luogo da cui si evangelizza. Alla lettura dei segni dei tempi dobbiamo accompagnare la lettura dei segni dei luoghi. Benché il messaggio possa essere lo stesso, la testimonianza e la credibilità saranno sicuramente diverse. Consapevoli di tutto questo, già il Capitolo generale di Madrid del 1973, nel documento finale, La vocazione dell'Ordine oggi (= VOo) ci invitava a "vedere come si possa mantenere l'essenza della nostra scelta di povertà" in una situazione socio-economica differente dall'epoca di san Francesco. Le modalità concrete con le quali si manifesta la nostra condizione di poveri cambia e si attualizza a seconda del tempo, dei luoghi e delle regioni, ma l'essenza rimane. Ne deriva, come afferma il citato Capitolo, che dobbiamo vigilare oggi, come fecero i frati di ieri, sulla tentazione dell'accomodarsi: "Nel passato l'Ordine […] ha sempre reagito, con più o meno vigore, contro la naturale tendenza agli accomodamenti. Oggi siamo sollecitati ad esprimere la stessa esigenza. […] Tenendo conto delle situazioni locali, bisogna pertanto portare avanti la ricerca per vivere come 'i piccoli' di oggi". (VOo 22) Il medesimo principio − per svolgere un ruolo di contestazione nei confronti della società di produzione e di consumo (VOo 23) − ha indotto gli ultimi capitoli generali a insistere sulla necessità di abitare le fessure di un mondo frammentato (PdV 22), sul potenziare presenze evangeliche tra coloro che, a causa della miseria e della violenza, devono abbandonare i loro paesi di origine (cf. PdV 23), sul riaffermare la nostra vocazione ad essere "minori tra i minori" (..…) e sul lasciarci interpellare dai segni dei tempi e dei luoghi (cf. PdV 29). E per questo principio si è inserito nella RFF un articolo che parla di inserimento o incarnazione dei frati nelle situazioni concrete del popolo in cui vivono, per scoprire in esse i diversi volti di Cristo (cf. RFF 33) Perché tanta insistenza? Non c'è dubbio che tale inserimento rende più facile quanto più da vicino possiamo condividere con i nostri fratelli di gioie e speranze, tristezze e angosce (cf. GS 1), e favorisce una reale comunione fraterna con tutti i minori della terra (CCGG 97,2). Ciò sarebbe un segno di restituzione particolarmente eloquente in questo mondo dove solo il flusso di denaro, di beni e di servizi trova libero transito, ma non le persone, e tanto meno i poveri (PdV 23). Questo inserimento ci avvicina a tale realtà e questo accostamento, sempre se illuminato dalla fede, come già ci chiedeva il Capitolo generale 2006, ci permetterà di dare risposte evangeliche ai segni dei tempi e dei luoghi, per mezzo dei quali lo Spirito continuamente ci parla e ci chiede una risposta (cf, PdV 14). L'invito dell'Ordine ad un concreto e serio inserimento non è per compiere una fuga in avanti o per sperimentare un'avventura in più. L'inserimento, fatto a partire da una chiara visione di fede, è un modo di dare continuità alla scelta fatta dal Verbo, che si è incarnato, e di Francesco, che si è fatto minore. Da questo punto di vista, l'inserimento presuppone un profondo rinnovamento della vita consacrata, con una rinnovata vita di preghiera e di fraternitàCostruttori di un mondo più giusto L'opzione per i poveri è strettamente legata all'impegno per la giustizia. La solidarietà con gli ultimi, sempre per motivi evangelici, svela la trama dell'ingiustizia in cui vivono le nostre società e le cause degli squilibri sociali che affliggono tanti nostri fratelli. Da una attenta riflessione, la povertà e l'ingiustizia appaiono come conseguenze di decisioni che, nell'ambito dell'avere, mirano esclusivamente al profitto economico, emarginando in tal modo i più poveri, nell'ambito del potere emarginano la maggioranza che non partecipa alle decisioni e nell'ambito del sapere viene chiusa la porta ai più. Il grido dei poveri e degli esclusi deve trovare un'eco speciale nella vita consacrata, specialmente nella vita francescana, che deve dissociarsi da qualunque forma di ingiustizia, "destare le coscienze di fronte al dramma della miseria ed alle esigenze di giustizia sociale del vangelo e della chiesa (cf. Evangelica Testificatio, 18) e assumere la chiamata "a costruire ponti di dialogo, di incontro, di riconciliazione e di pace; ad essere messaggeri della cultura della vita in tutto l’arco del suo sviluppo" per essere così "custodi di speranza" (PdV 30). Diversamente da ciò che ascoltiamo ogni giorno, viviamo in una situazione universale nella quale una minoranza concentra unicamente in se stessa la ricerca e la pretesa di giustizia. Ciò porta ad un divario sempre maggiore tra nord e sud, che la condizione di povertà di molti si aggravi e le sacche di povertà aumentino costantemente. Come ha denunciato già Giovanni Paolo II, all'abbondanza e spesso allo sperpero di beni dei paesi ricchi corrisponde una inaccettabile arretratezza dei paesi del sud nei quali vive la maggioranza della popolazione (cf. Sollecitudo Rei Socialis, 14) Una costante, sia nell'antico che nel nuovo testamento, è che Dio desta le coscienze dei credenti a partire dai poveri, da coloro che soffono le conseguenze dell'ingiustizia e quindi la povertà. Da Abramo ai nostri giorni, Dio ascolta il grido dei poveri (cf. es 3,7.10), chiede giustizia per essi (cf. Is 58, 6-7) e li difende (cf. Is 11,1-9); annuncia soprattutto ad essi la Buona novella (cf. Lc 4,16-19) per renderla comprensibile a tutti per mezzo loro (cf. 1Cor 1,16-32). La cosienza cristiana ascolta il grido di un figlio di Dio e di un fratello nel quale l'immagine del Creatore è appannata. Oggi, il grido dei poveri e una visione critica della società ha fatto capire, alla luce della fede, l'esistenza di un peccato sociale nelle strutture, frutto della libera organizzazione dell'uomo. In esse rende visibile il peccato individuale, fonte e radice dell'ingiustizia (cf. Benedetto XVI, Messaggio per la Quaresima 2010) Noi consacrati, nel nostro caso noi francescani, dobbiamo impegnarci a lavorare in favore della giustizia, a partire della nostra identità di frati e di "minori tra i minori della terra". In questa prospettiva, la nostra testimonianza a favore della giustizia comincia da una seria revisione dello stile di vita, sia personale che di fraternità, se non vogliamo cadere in una pura ideologia e quindi nella manipolazione di coloro che diciamo di voler difendere. Come si può annunciare la giustizia e denunciare l'ingiustizia se tra noi non c'è la prima e si combatte la seconda? Se siamo tutti uguali in virtù della professione, con gli stessi diritti e doveri (cf. CCGG 3,1), come giustificare alcune situazioni di disuguaglianza nelle nostre fraternità? Come lottare contro l'ingiustizia se tra di noi c'è uno spreco consumista che ci porta a vivere alle spalle delle povertà che abbiamo vicino? Solo se siamo disposti a rivedere profondamente il nostro stile di vita possiamo difendere coloro che patiscono tremende ingiustizie, coloro che vivono nella miseria e sono emarginati, coloro che non vedono rispettati i diritti umani fondamentali della persona: i profughi, i perseguitati politici e tutti coloro che sono privati della libertà. Contemporaneamente alla revisione del nostro stile di vita, siamo chiamati a fare tutto il possibile perché i poveri prendano coscienza della propria dignità e lottino perché sia rispettata. In tal senso un impegno importante deve essere la formazione di coloro che patiscono le conseguenze dell'ingiustizia, poiché solo così potranno essere pienamente coscienti della propria dignità umana, la difenderanno e la faranno valere (cf. CCGG 97,2). Infine, per mezzo delle opere sociali, realizzate secondo le necessità attuali, manifestiamo una solidarietà vera con tutti coloro che sono nel bisogno materiale e spirituale (cf. VOo, 24) e annunciamo la Buona Novella del regno con la testimonianza e la promozione nella linea della giustizia. Custodi della creazione Per molti, credenti e non, e per la stessa Chiesa, san Francesco d'Assisi è un esempio di massimo rispetto della creazione, diventando così un ecologista "ante litteram". Ma occorre dire immediatamente che il Poverello di Dio non è un ecologista qualsiasi e quindi non può essere invocato come patrono da qualunque ecologista. Francesco è un ecologista credente e la sua ecologia è profondamente teologica. La creazione gli ricordava il Signore, suo creatore. Allo stesso tempo era ben conscio della responsabilità di "curare" e "custodire" il creato, come si cura e si custodisce qualcosa di sommamente prezioso, dato dal Creatore all'uomo. Per Francesco la creazione è qualcosa di prezioso, di molto prezioso, in quanto "segno", "sacramento" del Creatore (cf. Cantico delle creature). Oggi, la creazione è seriamente minacciata e, sentendosi tale essa stessa, si ribella contro l'uomo. La frequenza e l'ampiezza di alcuni fenomeni naturali che stiamo vivendo dimostrano che è così. Cala drammaticamente tra l'uomo e la creazione quell'armonia desiderata dal Creatore e cantata da Francesco nel suo Cantico delle creature. Il livello dell'anidride carbonica CO2, il più alto degli ultimi 800.000 anni, fa aumentare la temperatura e produce un surriscaldamento della terra che mette a rischio i ghiacciai, un considerevole innalzamento del livello dei mari di 3,3 mm. l'anno, la desertificazione che sta avanzando in vaste aree della terra, che cessa di essere un giardino con "diversi frutti e coloriti fiori ed erba", come era uscito dalle mani del Creatore. Già in ampie regioni della terra, l'acqua non si può più dire "pura e casta", dal momento che è contaminata dall'uso indiscriminato di sostanze tossiche di scarico industriale, che rende difficile la vita degli esseri umani e di molte specie animali. E l'aria non è già più sempre un mezzo di "sostentamento" per le creature a causa del suo inquinamento e dello smog. Il fuoco non sempre è "bello e allegro", poiché frequentemente devasta grandi riserve naturali. Il comportamento irresponsabile dell'uomo e l'avidità della società industriale e di consumo stanno distruggendo l'ambiente e mettendo in serio pericolo la sopravvivenza dell'umanità. Che fare in tale situazione? Le nostre Costituzioni generali ci chiedono: "Seguendo le orme di san Francesco, i frati mostrino un senso di riverenza verso la natura, oggi minacciata da ogni parte, per renderla integralmente fraterna ed utile a tutti gli uomini, a gloria di Dio Creatore" (CCGG 71). Il testo mostra molto bene quale deve essere l'atteggiamento del Frate Minore verso la creazione e invita a rispettarla. Tenendo presente la tradizione filosofica e teologica che parte dallo stesso san Francesco, come Frati Minori dobbiamo estendere la nostra "simpatia e attenzione fraterna alla creazione" (cf. VOo 25) e tenere un comportamento umano e reverenziale, di comunione e fraternità con il creato. La creazione è un dono che abbiamo ricevuto gratuitamente dall'amore di Dio perché fosse umanizzata con un dominio che la renda fraterna e al servizio di tutti. Dimostreremo così qual è la ragione ultima del nostro atteggiamento di rispetto verso la creazione: essa ha un'origine di Amore, che le dà senso pieno: tutto è stato creato per lui e per mezzo di lui (cf. VOo 25) Verso un progetto di vita e di missione coerente con i valori GPIC Ho fatto riferimento in più punti alla necessità di rivedere il nostro stile di vita perché sia coerente con i valori che siamo chiamati a difendere in rapporto a GPIC e renda credibile la nostra predicazione agli uomini del nostro tempo. Se vogliamo che le nostre denunce non restino semplici proclami, ciò che diciamo ci obbliga a vivere ogni giorno con maggior coerenza con i valori di GPIC. In questo, come in tutti gli aspetti della nostra forma di vita, dobbiamo superare ogni dicotomia o divorzio tra ciò che diciamo e ciò che facciamo. Noi Frati Minori, mentre denunciamo tutto ciò che può ferire la pace e la convivenza pacifica con la creazione, siamo chiamati a una seria riflessione sulla nostra vita di tutti i giorni, poiché questa, in modo consapevole o inconsapevole, potrebbe allontanarci dalla GPIC che predichiamo. Ciò ci richiede un progetto di vita, personale e di fraternità, che potremmo ben chiamare ecologico, fondato su una antropologia relazionale e un'etica di semplicità, di moderazione e di frugalità, come risposta allo sfruttamento e alla dilapidazione dell'ambiente. Ciò presuppone il rispetto delle risorse naturali e il saper gioire delle piccole cose di ogni giorno, evitando il superfluo e lo sciupio. Se l'attuale consumismo si è convertito in uno stile di vita di insaziabile sete di divorare ogni cosa, si fa urgente realizzare una ascesi della vita, come forma di libertà e di responsabilità. L'austerità e la frugalità sono anche esigite dal nostro impegno a vivere "senza nulla di proprio", e sono premessa per uno stile di vita umano e restauratore. Nella nostra relazione con gli altri e con la stessa creazione, il nostro stile di vita deve essere segnato dalla minorità, presentandoci in ogni momento, sia come singoli sia come fraternità, come piccoli, servi, coloro che nessuno teme perché non cercano di dominare né di imporsi agli altri ma cercano sempre di servirli (cf. Mt 20,28). Tale atteggiamento richiede lo spirito di infanzia, la piccolezza e la semplicità (cf. VOo 19). Un progetto di vita e di missione in questa chiave esige altresì che perseguiamo nella ricerca che ci conduce a vivere come bambini, piccoli e minori oggi, condividendo la situazione delle vittime della violenza, dei poveri e della ingiustizia, rifiutando di accettare le situazioni che mantengono i nostri fratelli in tali condizioni, perché vogliamo essere, insieme a loro, fermento di una società nuova (cf. Rm 11,12). Tutto ciò sarà possibile se i valori di cui stiamo parlando entreranno pienamente nella formazione permanente e nella formazione iniziale dei frati. Così intende dire la nostra Ratio Formationis quando afferma: "La formazione alla vita evangelica del Frate minore – allo spirito di orazione e devozione, alla vita di comunione fraterna, alla penitenza e minorità, alla povertà e solidarietà, alla evangelizzazione e missione, all’azione per la riconciliazione, la pace e la giustizia) – è un cammino «organico, graduale e coerente che si sviluppa a livello personale e comunitario durante tutta la vita." (RFF 62). Tra i valori GPIC che considero trasversali in tutto il processo formativo, mi urge segnalare i seguenti: educazione/formazione alla cultura della vita, alla pace, alla nonviolenza, ad uno sviluppo che sia progresso umano vero e non per l'arricchimento di pochi, ad una economia di giustizia: economia solidale, alla risoluzione non violenta dei conflitti, all'accettazione dell'altro, al pluriculturalismo, alla difesa della natura (cf. RFF 227; Ratio Studiorum OFM 62. 142. 148). Il vissuto progressivo di questi valori deve eesere il criterio nel momento del discernimento vocazionale (RFF 215). Nella formazione che riceviamo e che diamo gioca la trasmissione di una cultura delle beatitudini, o di una cultura delle oppressioni, la trasmissione di uno spirito universale e fraterno, o di uno spirito di ghetto e particolaristico. La nostra spiritualità francescana offre un'eccellente piattaforma per una formazione allo spirito universale, basata sulla solidarietà allargata con l'umanità e la creazione, fondamento per la pace a partire dalla nonviolenza. Conclusione Nel contesto di questo Congresso europeo degli Animatori GPIC, non esito ad affermare che il miglior servizio che un Animatore GPIC può prestare ai valori GPIC e ai frati di ogni Entità è l'aiutarli a prendere consapevolezza di ciò che abbiamo appena affermato: i valori GPIC fanno parte della nostra forma di vita, devono essere vissuti congiuntamente e sempre partendo dalla minorità, ricordando che dobbiamo lavorare in primis su noi stessi. Solo in questo modo saremo "testimoni" e non soltanto "maestri", solo così saremo artefici veritieri della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato, "vincendo il male ed operando il bene" (CCGG 68,1; cf. 68,2).