CAP. 18 - chirurgia della mano
Transcripción
CAP. 18 - chirurgia della mano
CAPITOLO 18 Fratture dei metacarpi F. FANFANI, F. CATALANO, G. TACCARDO INTRODUZIONE Le fratture dei metacarpi rappresentano il 25% di tutte le fratture della mano, assumendo pertanto una rilevanza socio-economica in relazione al numero delle giornate lavoro perse. Tale considerazione ha portato nel tempo alla estensione della indicazione chirurgica nel tentativo di assicurare una più rapida ripresa dell’attività lavorativa. Circa l’85% delle fratture si avvale, comunque, di un trattamento incruento; qualora si ponga indicazione chirurgica, l’osteosintesi deve essere stabile e tale da consentire una precoce mobilizzazione attiva. Riguardo al trattamento chirurgico molte sono le tecniche e i materiali di osteosintesi utilizzati in letteratura. I fili di Kirschner39,49 sono ancora il mezzo di sintesi più utilizzato, introdotti solitamente per via percutanea e più raramente attraverso un accesso diretto attraverso il focolaio di frattura17,3,26,27,12. Robertson41, Clifford8, Nemethi38 e Lister31 hanno utilizzato i fili di Kirschner introdotti attraverso una via di accesso diretta al focolaio unitamente ad un cerchiaggio con fili metallici. Kilbourne28 fu il primo ad utilizzare le viti per stabilizzare i piccoli frammenti. Il gruppo AO con Simoneta43 e HeimPfeffer18 mise a punto uno specifico strumentario per la chirurgia della mano ed introdussero l’uso delle placche a compressione nell’osteosintesi dei metacarpi. Parallelamente, Evrard11 propose una sintesi endo-midollare, metodica che Foucher13 adottò per trattare i reimpianti digitali e le fratture complesse e modificò introducendo l’uso del cemento. Ikuta20 e successivamante Michon34 descrissero ed utilizzarono microbulloni di 1 mm di diametro destinati al trattamento delle fratture articolari. Più recentemente Merle e Ph. Voche hanno proposto l’uso di chiodi endomidollari in acido polilattico totalmente riassorbibili. La ricerca di molti autori9,14,15 è stata comunemente rivolta prevalentemente alla miniaturizzazione dei mezzi di sintesi. Di più rara indicazione sono i fissatori esterni42,1,10. FRATTURE DEI METACARPI DELLE DITA LUNGHE Classificazione Distingueremo in base alla topografia: fratture della testa, fratture del collo, fratture diafisarie, fratture della base. Queste fratture interessano la zona posta distalmente all’inserzione dei legamenti collaterali dell’articolazione metacarpo-falangea. Dobyns e McElfresh32 distinguono: • in rapporto alla sede della lesione: (1) fratture epifisarie; (2) fratture da avulsione del legamento collaterale; (3) fratture osteocondrali; • in rapporto al decorso della rima di frattura: (1) fratture della testa oblique, verticali ed orizzontali; (2) fratture comminute; (3) fratture intra-articolari con infossamento; (4) fratture con perdita di sostanza ossea. Queste fratture sono per lo più secondarie a traumi diretti e presentano, il più delle volte, un’importante comminuzione, quasi sempre talmente elevata da rendere difficoltosa o impossibile la ricostruzione anatomica: in questi casi è preferibile privilegiare il movimento precoce tutorizzando adeguatamente il raggio digitale, data la presenza dei robusti legamenti collaterali che insieme all’apparato capsulare assicurano una sufficiente stabilità dell’articolazione. In tali fratture, se comminute, trova indicazione l’impianto protesico nel primo trattamento o secondariamente. L’indicazione al trattamento chirurgico di riduzione ed osteosintesi è riservata alle fratture con rima obliqua o verticale con rilevante perdita della congruità articolare in cui vi sia la presenza di un grosso frammento. È preferibile effettuare la sintesi a cielo chiuso o con fili di Kirschner o con microviti, in quanto l’apertura del focolaio espone sempre al pericolo di una necrosi avascolare dei frammenti. Solo in alcuni casi, in cui il frammento epifisario è molto grande trova indicazione l’osteosintesi endomidollare (Fig. 18-1). Fratture della testa Sono fratture molto frequenti, solitamente secondarie a trauma diretto. La forma del metacarpo, la direzione delle forze e l’azione dei muscoli interossei comportano un’angolazione volare; i muscoli interossei sono responsabili, inoltre, di una rotazione del frammento evidenziabile clinicamente, a dita flesse, con una sovrapposizione del raggio fratturato con quello vicino (in particolare, secondo Merle, per il II e III vi è una tendenza alla rotazione cubitale, mentre per il IV e d il V alla rotazione radiale). L’entità dello spostamento angolare, in rapporto al metacarpo coinvolto, condiziona la necessità o meno di una riFratture del collo 301 302 A SEZIONE II - Patologia traumatica e post-traumatica B Fig. 18-1. Frattura della testa. A, Pre-operatorio. B, A 15 giorni. C, A 50 giorni. duzione: infatti, per il IV ed il V metacarpo, più frequentemente coinvolti, data la mobilità elevata della loro articolazione carpo-metacarpale, si possono accettare angolazioni residue anche considerevoli senza che si produca una compromissione della funzione della mano. A questo proposito, dall’esame della letteratura, si rileva che possono essere accettati valori angolari per le fratture del IV e del V raggio che variano da 20° a 70°19,4, mentre, per quanto riguarda il II e III metacarpo, non sono tollerati spostamenti maggiori di 10-15°44. Nei casi che presentino spostamenti superiori ai valori indicati, è necessaria la riduzione e la sintesi della frattura. La presenza di una rotazione o uno spostamento laterale rendono ugualmente indispensabile la riduzione. Il trattamento incruento prevede la riduzione della frattura in anestesia locale con immobilizzazione in apparecchio gessato per 30 giorni. La riduzione si ottiene flettendo a 90° la metacarpo-falangea in maniera tale che la base della falange prossimale eserciti una pressione in senso dorsale mentre una contropressione viene esercitata dalla mano dell’operatore sull’apice della deformità angolare. La flessione della falange prossimale aiuta a C prevenire i difetti di rotazione. Al fine di prevenire la rigidità, è necessario procedere all’immobilizzazione ponendo le articolazioni metacarpo-falangee in flessione da 60° a 90°: in questo modo si detendono i muscoli interossei consentendo alla falange prossimale di esercitare un costante effetto di leva sulla testa del metacarpo e, ponendo in tensione i legamenti collaterali, si previene la rigidità dell’articolazione alla rimozione dell’apparecchio gessato. Qualora le manovre di riduzione non forniscano un’accettabile correzione della rotazione e dell’angolazione è indicato il trattamento chirurgico. Le tecniche di osteosintesi utilizzabili sono numerose: dalla ligamentotassi, alla fissazione endomidollare fascicolata con fili di Kirshner di piccole dimensioni, all’osteosintesi percutanea endomidollare con uno o due fili di maggior diametro; a tale proposito, ci sembra assolutamente da proscrivere l’inchiodamento endomidollare retrogrado partendo dalla testa del metacarpo40 in quanto danneggiando la cartilagine articolare è causa essa stessa di rigidità articolare. Gli autori adottano l’inchiodamento endomidollare anterogrado (prossimo-distale) per via percutanea (Fig. 18-2) come descritto successivamente. 18 – Fratture dei metacarpi Fratture diafisarie (Fig. 18-3) Sono solitamente prodotte da traumi e forze longitudinali in compressione e torsione e più raramente da traumi diretti. I traumi da schiacciamento sono responsabili di fratture comminute e coinvolgono solitamente più metacarpi. I traumi indiretti agiscono solitamente esagerando la normale curvatura dell’osso, o talvolta con una rotazione assiale forzata oppure con entrambi i meccanismi. Nei casi di un trauma diretto sono associate contemporaneamente lesioni delle parti molli che complicano la scelta del trattamento. Vi sono condizioni anatomiche particolari che condizionano l’evoluzione ed il decorso di queste fratture nonché la scelta della strategia terapeutica. Distalmente i quattro metacarpi sono uniti dai legamenti intermetacarpali A B 303 profondi che impediscono un importante accorciamento. Prossimalmente i metacarpi sono intimamente connessi dai legamenti intermetacarpali volari e dorsali e dai legamenti interossei; il secondo metacarpo si articola con il trapezio ed il trapezoide ed il terzo con il capitato con un’articolarità estremamente ridotta. Il quarto e quinto metacarpo si articolano con l’uncinato e godono di una maggiore mobilità. La presenza dei muscoli interossei33 condiziona altresì lo spostamento, in quanto essi provocano la flessione del frammento distale data la loro inserzione sulla falange prossimale con conseguente angolazione dorsale. In base al decorso della rima di frattura possiamo distinguere: fratture trasversali, oblique lunghe e corte, spiroidi, e fratture comminute. C Fig. 18-2. Frattura del collo. A, Pre-operatorio, post-operatorio. B, Prima giornata. C, A 35 giorni. 304 A SEZIONE II - Patologia traumatica e post-traumatica B Fig. 18-3. Frattura diafisaria. A, Pre-operatorio. B, A 7 giorni. C, A 35 giorni. Da un punto di vista funzionale e biomeccanico, gli elementi che influenzano maggiormente il risultato finale sono: (1) l’angolazione dei frammenti. È più frequente nelle fratture trasversali e comporta due effetti indesiderati: da una parte la testa del metacarpo protrude nel palmo ostacolando la presa e dall’altra provoca per sbilanciamento tendineo un’alterazione dell’articolarità della metacarpo-falangea con comparsa di una deformità secondaria “ad artiglio” durante l’apertura della mano; (2) la rotazione dei frammenti che provoca un overlapping durante la chiusura della mano; poco importante risulta invece essere (3) l’accorciamento di un singolo metacarpo; (4) la molteplicità delle fratture; (5) la perdita di sostanza ossea che si può rilevare nelle fratture esposte. TRATTAMENTO INCRUENTO: la riduzione a cielo chiuso e l’immobilizzazione in apparecchio gessato è applicabile nella maggior parte delle fratture diafisarie e, in accordo con Borgheskov6 e James23,24, riteniamo che debba essere evitato un “overtreatment” in quanto moltissime fratture metacarpali sono stabili e possono essere trattate con una ridotta immobilizzazione23,24. A tale proposito è nota la stretta relazione tra il tempo di immobilizzazione e le rigidità articolari secondarie: la maggior parte degli Autori di scuola anglosassone mantiene una immobilizzazione che non superi i 20 giorni ed addirittura alcuni Autori (Flatt, C 1972) confezionano un apparecchio gessato lasciando le dita libere. Solitamente, comunque, si esegue immobilizzazione in apparecchio gessato con metacarpo-falangee flesse a 45°-60° per circa 30 giorni. TRATTAMENTO CRUENTO: è indicato quando vi siano condizioni di instabilità o difficoltà di mantenimento della riduzione con apparecchio gessato. Riguardo alle tecniche utilizzate citiamo la tecnica di ligamentotassi secondo Bosworth ripresa da Lamb29 indicata essenzialmente nelle fratture isolate comminute dei metacarpi periferici dove la loro realizzazione è più facile. Tale tecnica prevede l’infissione di due fili di Kirschner trasversali, grossolanamente paralleli, l’uno prossimale e l’altro distale alla rima di frattura infiggendo dapprima il segmento fratturato quindi quello adiacente sano: questa tecnica mantiene però una diastasi tra i monconi di frattura favorendo così ritardi di consolidazione e pseudoartrosi. Di più recente descrizione è la tecnica di inchiodamento endomidollare attraverso la testa del metacarpo40 in cui il filo di Kirschner introdotto dalla testa del metacarpo viene fatto emergere alla base del metacarpo tenendo il polso in flessione, e quindi retratto fino nella testa del metacarpo stesso; la parte prossimale viene tagliata alla sua emergenza sul piano cutaneo. Questa tecnica è stata poi ripresa da Clifford8 e Lipscomb30. Vi sono state numerose 18 – Fratture dei metacarpi critiche verso questo tipo di infibulo endomidollare in quanto non riuscirebbe a controllare efficacemente le rotazioni e inoltre può essere causa di danno dell’apparato estensore a livello dell’articolazione metacarpo-falangea. Alcuni Autori utilizzano una trazione trans-scheletrica per mantenere la correzione dopo le manovre di riduzione: Blount5 e Workmann52 utilizzano una skin-traction, altri37 una trazione attraverso l’unghia ed il polpastrello, altri35 ancora attraverso la base della falange prossimale; Swanson46 ha ripreso la tecnica di Boheler inserendo un chiodo attraverso la falange ungueale. Riteniamo che queste metodiche siano da proscrivere in quanto conducono inevitabilmente ad una rigidità anche di molto maggiore di quella conseguente alla semplice applicazione di un apparecchio gessato. Non rare infine le necrosi cutanee volari del raggio digitale da decubito. Altra metodica abbastanza comune è rappresentata dalla sintesi mediante placche secondo le tecniche AO, placche che possono essere sezionabili e modellabili. Questa tecnica, malgrado l’apparente facilità, presenta problematiche legate innanzitutto alla necessità di una vasta esposizione e scollamento del mantello periosteo. Malgrado il buon risultato radiografico ottenibile e la buona stabilità della sintesi, riconosce universalmente i suoi limiti nelle aderenze a carico dell’apparato estensore; da non sottovalutare sono, infine, problemi di copertura cutanea dato l’ingombro del mezzo di sintesi ed il rischio di pseudoartrosi secondo quanto universalmente riconosciuto riguardo alle tecniche che prevedono ampia esposizione del focolaio. L’osteosintesi con viti trova indicazione solo nelle fratture oblique lunghe o spiroidi lunghe che possono essere sintetizzate con due o più microviti. Una sola microvite non è sufficiente a neutralizzare le forze di taglio agenti sul metacarpo. Comunemente si utilizzano viti da corticale autofilettanti da 1,2 mm o da 1,5 mm. È stato più recentemente proposto l’uso di grossi chiodi endomidollari associati all’uso del cemento acrilico; tale metodica riteniamo sia troppo invasiva ed espone alle complicanze legate all’uso del cemento; un certo interesse questa metodica può avere usando chiodi di biomateriali riassorbibili ad alta resistenza meccanica (acido polilattico). Di rarissima applicazione è infine l’utilizzo dei fissatori esterni da riservare comunque a gravi fratture complesse ed esposte con perdita di sostanza ossea e cutanea. Fu Crockett9, nel 1974, a suggerire l’uso della fissazione esterna nel quale i fili di Kirschner posti trasversalmente venivano solidarizzati artigianalmente tra di loro tramite cemento acrilico. Scott e Mulligan e la scuola di Vilain ne limitarono, in seguito, l’applicazione ai soli traumi complessi della mano. Ma già Allieu1, nel 1973, miniaturizzò il fissatore di Hoffmann adattandolo alla mano e raccomandandone il montaggio a quadrato semplice con fili transfissi frontalmente nel primo raggio e con fili metallici dorsali obliqui solidarizzati da piccole barre di accoppiamento nelle dita lunghe al fin di preservarne l’articolarità. L’impiego del mini-fissatore 305 di Hoffmann, sebbene coniughi in modo soddisfacente la stabilità e possibilità di mobilizzazione, risulta di montaggio delicato specie quando bisogna infiggere le fiches nei piccoli frammenti juxta-articolari. Maggiore duttilità presenta il minifissatore ad anelli, da noi ideato, che riprende i concetti biomeccanico ed il disegno proposti da Ilizarov adattandolo alla mano (Catalano, Fanfani, Taccardo, 1986). Dopo questo excursus storico per il trattamento chirurgico delle fratture metacarpali, riteniamo, nella nostra esperienza, che i fini da perseguire nel trattamento siano: la riduzione della frattura, la stabilità della sintesi, una mobilizzazione attiva precoce, il rispetto della biologia del callo osseo evitando l’esposizione del focolaio di frattura. Le tecniche di osteosintesi proposte prevedono, solitamente, l’apertura del focolaio di frattura il che comporta spesso ritardi di consolidazione e, non raramente, rigidità. Per questo motivo gli autori hanno messo a punto ed utilizzano una tecnica a cielo chiuso di osteosintesi endomidollare dei metacarpi in senso prossimo-distale che, utilizzata su tutti i tipi di frattura, ha garantito una sintesi stabile e consentito una mobilizzazione attiva immediata. La riduzione viene sempre ottenuta a cielo chiuso in quanto la riduzione a cielo aperto altererebbe le superfici di scorrimento dell’apparato estensore ed esporrebbe alla pseudoartrosi. La tecnica prevede l’utilizzo di un apposito strumentario (Fig. 18-4) essenzialmente composto da un perforatore cannulato che una volta posizionato, permette lo scivolamento di un filo di Kirschner del diametro di 1,5 mm a punta smussa fino al superamento del focolaio di frattura. Generalmente si utilizzano fili del diametro di 1,5 mm, ma altrettanto valido è l’utilizzo di fili di diametro maggiore fino a 2 mm. La scelta del tipo di filo da utilizzare è in relazione al diametro del canale midollare ed al morfotipo della frattura. Nel punto di introduzione i fili vengono ripiegati ad angolo retto e lasciati fuoriuscire dalla cute. Al paziente non viene applicata alcuna immobilizzazione e viene invitato a mobilizzare senza restrizioni le dita nell’immediato postoperatorio. Il primo controllo clinico e radiografico viene effettuato dopo una settimana onde valutare la capacità motoria del paziente, il successivo controllo in 15a giornata prevede la medicazione ed il controllo clinico senza controllo radiografico. Un ulteriore controllo clinico e radiografico viene effettuato 4 settimane dopo l’intervento al fine di valutare lo stato di consolidazione e programmare la rimozione dei mezzi di sintesi, che salvo complicazioni avviene intorno alla 40a giornata. Riguardo alle complicanze non è stata osservata alcuna complicanza nell’immediato postoperatorio, né alcuna lesione a carico dell’apparato estensore, in circa il 10% dei pazienti era presente un’infezione cutanea superficiale a livello del punto di infissione senza che ciò tuttavia costringesse alla rimozione precoce del mezzo di sintesi. Per quanto riguarda le fratture oblique lunghe e spiroidi, specie laddove la riduzione non sia soddisfa- 306 SEZIONE II - Patologia traumatica e post-traumatica Fig. 18-4. Strumentario e tecnica chirurgica. cente per l’interposizione di parti molli e permanga un eccessivo accorciamento, rimane valido, in alternativa, il trattamento cruento mediante microviti che permette una sintesi stabile ed una mobilizzazione precoce. Fratture della base (Fig. 18-5) Generalmente dipendono da un trauma indiretto che eserciti una forza longitudinale lungo l’asse del metacarpo. Le fratture-lussazioni delle basi dei metacarpi richiedono un trattamento chirurgico: in queste fratture, il frammento epifisario volare rimane ancorato al carpo per la presenza dei robusti legamenti carpo-metacarpali mentre il frammento dorsale si lussa dorsalmente assieme alla diafisi determinando una salienza precocemente mascherata dall’edema; queste fratture sono spesso misconosciute in quanto difficilmente diagnosticabili su di una comune radiografia antero-posteriore; necessitano quindi di un proiezione in laterale perfetta. La frattura-lussazione del quinto metacarpo è ritenuta simile alla frattura di Bennet in quanto la porzione radiale della base rimane ancorata con l’uncinato mentre la parte restante si lussa dorsalmente e prossimalmente. Per quanto concerne il trattamento, le fratture senza spostamento si avvalgono della semplice immobilizzazione in apparecchio gessato, mentre le fratture-lussazioni necessitano del trattamento chirurgico. Questo deve prevedere la riduzione della lussazione, che comporta anche la riduzione della frattura, cui segue la stabilizzazione mediante uno o due fili di Kirschner. I casi inveterati richiedono la riduzione cruenta e ove questa non sia possibile molti Autori consigliano l’artrodesi della carpometacarpica. Secondo noi si deve, anche nei casi inveterati, ricercare la riduzione seguita da osteosintesi. FRATTURE DEL METACARPO DEL PRIMO RAGGIO2,21 Frattura di Bennet (Fig. 18-6) Si tratta di una frattura articolare del primo metacarpo in cui la rima separa la maggior parte del metacarpo da un 18 – Fratture dei metacarpi frammento epifisario volo-ulnare che rimane in sede. Le due maggiori variabili che caratterizzano questa frattura sono rappresentate dalla dimensione del frammento volare-ulnare e dall’entità dello spostamento della metadiafisi del metacarpo che è spinto radialmente e, prossimalmente, dorsalmente per l’azione del tendine dell’abductor pollicis longus. In caso di viziosa consolidazione, si manifesta una salienza dorso-radiale dolorosa alla base del pollice e, da un punto di vista fisiopatologico, si produce l’abolizione del ruolo di pivot della trapeziometacarpale e dell’azione dell’abdutore lungo che si traducono in un difetto di apertura attiva della prima commissura e in una alterazione della pinza pollice-digitale. Si creerà, inoltre, un’instabilità dolorosa della trapeziometacarpale. Il fine del trattamento sarà dunque da un lato la riduzione della lussazione e dall’altro il ripristino della superficie articolare con riduzione della frattura. Dalla prima descrizione di questa lesione nel 1882 numerosi sono stati i tipi di trattamento proposti. Fino agli anni ’50 gli Autori concordavano sul trattamento incruento proponendo numerosi metodi di tutorizzazione e solo modernamente si è passati al trattamento chirurgico di queste lesioni. In particolare vi sono attualmente due A B 307 scuole di pensiero: da una parte vi è chi propugna la riduzione a cielo aperto con sintesi interframmentaria e dall’altra chi preferisce la riduzione a cielo chiuso con fissazione percutanea. Questo secondo metodo risulta semplice ed efficace indipendentemente dalla tecnica (stabilizzazione interframmentaria o extrafocale). La manovra di riduzione prevede il posizionamento del pollice a 45° di abduzione per detendere l’abductor pollicis longus e associando una trazione sul metacarpo ad una pressione verso il palmo sulla base del I metacarpo stesso. Ridotta la lussazione, la stabilizzazione viene ottenuta mediante fili di Kirschner che possono essere posti tra il metacarpo ed il trapezio50,51 oppure ancorandosi al secondo metacarpo25. Tubiana47,48, nel 1966, ha dimostrato la possibilità che si possa fissare anche il frammento stabilizzando direttamente la frattura. Anche nella nostra Scuola utilizziamo questo metodo eseguendo una trazione in abduzione palmare, esercitando nel contempo una pressione sul metacarpo medialmente verso il palmo, riducendo la lussazione e stabilizzando la riduzione con fili di Kirschner. L’immobilizzazione in stecca gessata viene mantenuta per circa sei settimane trattandosi di frattura articolare. C D Fig. 18-5. Frattura della base. A, Pre-operatorio. B, 7 giorni post-operatorio. C, 70 giorni post-operatorio. D, 70 giorni post-operatorio. 308 SEZIONE II - Patologia traumatica e post-traumatica B A C Fig. 18-6. Fratture del I metacarpo, frattura di Bennet. Frattura di Rolando (Fig. 18-7) Si tratta di una frattura metafisaria in cui una rima di frattura separa la diafisi dall’epifisi ed il frammento epifisario è sede di A un’ulteriore rima di frattura longitudinale o sagittale tale da dare un frammento volare e uno dorsale similmente a quanto si verifica nella frattura di Bennet. Il trattamento chirurgico è sovrapponibile a quello utilizzato nella frattura di Bennet. B Fig. 18-7. Fratture del I metacarpo, frattura di Rolando. C 18 – Fratture dei metacarpi Bibliografia 1. Allieu Y, Fassio B. Use of an external tutor in hand surgery. Acta Orthop Belg 1973:39, 988-1001. 2. Berkmann EF, Myles GJ. Internal fixation of metacarpal fractures exclusive of the thumb. J Bone Joint Surg 1943:25, 816-821. 3. Blalock HS, Pearce H, Kleinert H, et al. An instrument designed to help reduce and percutaneously pin fractured phalanges. J Bone Joint Surg 1975:57A, 792-796. 4. Bloem JJ. The treatment and prognosis of uncomplicated dislocated fractures of the metacarpals and phalanges. Arch Chir Neerl 1971:23(1), 55-65. 5. Blount WP. Fractures in Children. Williams & Wilkins, Baltimore, 1955. 6. Borgeskov S. Conservative therapy for fractures of the phalanges and metacarpals. Acta Chir Scand 1967:133, 123-130. 7. Brown PW. The management of phalangeal and metacarpal fractures. Surg Clin North Am 1973:53, 1393-1437. 8. Clifford RH. Intramedullary wire fixation of hand fractures. Plast Reconstr Surg 1953:11, 366-371. 9. Constantinesco A, Foucher G, Merle M, et al. Système non traumatique de mesure da comportement élastique des tendons. Application à la chirurgie réparatrice des traumatismes de la main. Journées des Techniques Biomédicales, Strasbourg, 1977. 10. Crockett DJ. Rigid fixation of bones of the hand using K-wires bonded with acrylic resin. The Hand 1974:6, 106-107. 11. Evrard H, Norerman B. L’enclouage centro-medullaire dans les fracture des metacarpiens. Acta Orthop Belg 1973:39, 1035-1044. 12. Foucher G. L’ostéosynthèse des fractures des phalanges et des métacarpiens. Cahiers d’enseignement de la SO.F.C.O.T. 213-231. Expansion scientifique française, Paris, 1988. 13. Foucher G, Chemorin C, Sibilly A. Nouveau procédé d’osteosynthese original dans les fractures du tiers distal du cinquième meatcarpien. Nouv Presse Méd 1976:5, 1139-1140. 14. Foucher G, Merle M, Michon J. Intéret de l’ostéosynthèse dans la stabilisation des fractures du squelette metacarpo-phalangien. Ann Chir 1977:31, 1065-1069. 15. Foucher G, Merle M, Michon J. Ostéosynthèse miniaturisée en chirurgie de la main. in: Tubiana R, Traité de chirurgie de la main, tome 2, 407-418. Paris, Masson, 1984. 16. Furlong R. lnjuries of the hand. J.A. Churchill Ltd., 1957. 17. Green DP, Anderson M. Closed reduction and percutaneous pin fixation of fractured phalanges. J Bone Joint Surg 1973:55A, 1651-1654. 18. Heim U, Pfeiffer M. Small fragment set manual: technique recommended by the A.S.I.F. group. Springer Verlag, Berlin, Heidelberg, New York, 1974. 19. Hunter JM, Cowen NJ. fifth metacarpal fractures in a compensation clinic population. A report on one hundred and thirtythree cases. J Bone Joint Surg Am 1970:52(6), 1159-1165. 20. Ikuta Y, Tsuge K. Micro-bolts and micro-screws for fixation of small bones in the hand. The Hand 1974:6, 261-265. 21. Iselin M, Blangueron S, Benoit D. Fracture de la base du premier métacarpien. Mem Acad Chir 1956:82, 771-774. 22. JAHSS SA. Fractures of the metacarpals. A new method of reduction and immobilisation. J Bone Joint Surg 1938:20A, 178-186. 23. James JIP. Fractures of the phalanges and metacarpals. Proc. British Society for surgery of the hand, London, 1966, 379-381. 24. James JIP. Common, simple errors in the management of hand injuries. Proc Sec Med 1970:63, 69-71. 25. Johnson EC. Fractures of the base of the thumb: A new method of fixation. JAMA 1944:126, 27-28. 26. Joshi BB. Percutaneous internal fixation of fractures of the proximal phalanges. The Hand 1976:8, 86-92. 309 27. Kapandji IA. Ostéosynthèse à foyer fermé des fractures proximales non articulaires du premier métacarpien double brochage croisé ascendant. Ann Chir Main 1983:2, 179-185. 28. Kilbourne BC, Paul EG. The use of small bone screws in the treatment of metacarpal, metatarsal and phalangeal fractures. J Bone Joint Surg 1958:40A, 375-383. 29. Lamb DW, Abernethy PA, Raine PAM. Unstable fractures of the metacarpals: a method of treatment by transverse wire fixation to intact metacarpals. The Hand 1973:5, 43-48. 30. Lipscomb PR. Management of fractures of the hand. Am Surg 1963:29, 277-2823. 31. Lister G. Intraosseous wiring of the digital skeleton. J Hand Surg 1978:3, 427-435. 32. McElfresh EC, Dobyns JH. Intrarticular metacarpal head fractures. J Hand Surg [Am] 1983:8(4), 393-393. 33. McNealy RW, Lichtenstein ME. Fractures of the metacarpals and phalanges. West J Surg Obstet Gynecol 43:156-161, 1935 34. Michon J, Merle M, Foucher G. Traumatismes complexes de la main, traitement tout en un temps avec mobilisation précoce. Chirurgie 1977:103, 956-964. 35. Miller WR. Fractures of the metacarpals. Am J Orthop 7:105108, 1965 36. Moberg E. Dringliche handchirurgie. Georg Thieme Verlag, Stuttgart, 1972. 37. Moberg E. The use of traction treatment for fractures of phalanges and metacarpals. Acta Chir Scand 99:341-352, 1949-50134. 38. Nemethi CE. Phalangeal fractures treated by open reduction and Kirschner wire fixation. Industrial Med Surg 1954:23, 148-150. 39. Pratt DR. Internal splint far closed and open treatment of injuries of the extensor tendon at the distal joint of the finger. J Bone Joint Surg 1952:34A, 785-788. 40. Pulvertaft RG. Operative treatment of injuries of the phalangeal and metacarpal bones and their joints. In: Furlong R(ed): Operative surgery 2nd Ed. JP Lippincott, Philadelphia, 1969. 41. Robertson RC, Cawley JJ, Faris AM. Treatment of fracture dislocation of the interphalangeal joint of the hand. J Bone Joint Surg 1946:28A, 68-70. 42. Robins RHC. Injuries and infections of the hand. Edward Arnold, London, 1961. 43. Simoneta C. The use of AO plates in the hand. The Hand 1970:2, 43-45. 44. Smith RJ, Peimer CA. Injuries to the metacarpal bones and joints. Adv Surg 1977:11, 341-374. 45. Steel WM. The AO small fragment set in hand fractures. The Hand 1978:10, 246-253. 46. Swanson AB. Fractures involving the digits of the hand. Orthop Clin North Am 1970:1:261-274. 47. Tubiana R. A propos du traitement chirurgical des fractures des métacarpiens et des phalanges. Ann Chir 1981:35, 757-758. 48. Tubiana R. La mobilisation précoce des fractures des métacarpiens et des phalanges. Ann Chir Main 1983:2, 293-297. 49. Von Saal FH. Intramedullary fixation in fractures of the hand and fingers. J Bone Joint Surg 1953:35A, 5-16. 50. Wagner JC. Transarticular fixation of fracture dislocations of the first metacarpa-carpal joint. West J Surg Obstet Gynecol 1951:59, 362-365. 51. Wiggins HE, Bundens WD Jr, Park BJ. A method of treatment of fracture dislocations of the first metacarpal bone. J Bone Joint Surg 1954:36A, 810-819. 52. Workman CE. Metacarpal fracture. Missouri Med 1964:61, 687-690. 53. Wright ta. Early mobilization in fractures of the metacarpals and phalanges. Canad J Surg 1968; 11, 491-498.
Documentos relacionados
Traumatologia della caviglia
sopra-legamentose (in abduzione) Stadio 1 : Fratture del malleolo interno (o LLI) Stadio 2 : Rottua del legamento peroneo-tibiale ant., diastasi + Stadio 3 : Frattura del perone, obliqua in basso e...
Más detalles